http://www.academia.edu/7181390/IL_VINO_NEI_TESTI_MICENEI_E_NELLE_NUOVE_TAVOLETTE_DI_TEBE

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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RECO
 
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4. Conclusioni
I dati provenienti dai testi di Tebe, come si è potuto vedere, si pongono in linea con quello che possiamo definire il
modo di fare economia e burocrazia
 del mondo miceneo così come è emerso dai testi rinvenuti in tutta la Grecia. In quest’ottica i trecento nuovi documenti tebani non hanno molto variato il quadro di riferimento storico. Tuttavia si sono rivelati ricchissimi di nuovi dati principalmente sul mondo cultuale, e hanno permesso anche uno sguardo, per così dire, al di fuori delle mura tebane. L’esame dei riferimenti topografici, infatti, ha permesso con una certa sicu-rezza di individuare l’area di ingerenza della Tebe micenea, che senza dubbio si e-stendeva in tutta la Beozia. Così in questo scorcio di XIII secolo ai regni regionali di Pilo, Cnosso, Micene, Cidonia e chissà quanti altri, si deve aggiungere anche la Beozia, che va a chiudere un quadro di riferimento straordinariamente articolato, composto di potenti cittadelle ed estesi territori. Ma la scoperta più emozionante, ci porta ancora più lontano. Nella lunga lista degli invitati a quello che probabilmente fu un festival religioso nel santuario di
*63-te-ra-de
 vennero omaggiati due anonimi rappresentanti di una delle più impor-tanti città della grecità: Sparta. I due spartani, un padre ed un figlio, vengono chia-mati lacedemoni, come ci si aspettava, ed esattamente
ra-ke-da-mi-ni-jo
 (Fq 214, 254, Gp, 227, 231). I due convitati furono oggetto di cospicue razioni di vino e fa-rina (6 litri di vino e 12 chilogrammi di farina) ed erano senza dubbio di una certa importanza, forse addirittura degli ambasciatori, o dei rappresentanti della lontana città della valle dell’Eurota. Questi testi gettano nuova luce sulla città di Sparta che, a tutt’oggi, appare la grande assente nel cosmo miceneo. Il piccolo palazzetto nei pressi della Sparta moderna, il cosiddetto Menelaion, più che un palazzo sembra una grande villa
38
, mentre nessun testo, e nessuna struttura di una certa importanza sono emersi dalla Laconia dell’età del Bronzo
39
. Ovviamente è solo questione di lasciar tempo agli
38
 La ceramica del
 Menelaion
 testimonia una continuità sicura di insediamento dal Bron-zo medio al Tardo Elladico II A (1550-1450 a.C.). Il primo edificio, la Mansion I, non è più antica della metà del XV sec., mentre la Mansion II risale al TE III A1. La strut-tura fu abbandonata prima della fine del TE III A1 (ca. 1375 a.C.). Il sito fu probabil-mente abbandonato per un centinaio di anni per tutto il TE III A2 e TE III B1, ma nel tredicesimo secolo riprese l’occupazione. L’ultimo livello di insediamento, la Mansion III fu ricostruita sulle rovine della precedente ma venne distrutta nel TE III B2 (ca. 1250-1200 a.C.) da un incendio. Si veda a proposito C
ATLING
 1973-1976.
39
 Nonostante la grande ricchezza del sito funebre di Vaphio presupponga un abitato al-trettanto ricco e rappresentativo, ad oggi tale sito non è ancora stato ritrovato. C
AT-LING
 1973-1976; H
OPE
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IMPSON
1981, 99-117.
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 
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L VINO NEI TESTI MICENEI E NELLE NUOVE TAVOLETTE DI
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archeologi, ma la testimonianza di Tebe, ed il ruolo importante che i due lacede-moni rivestono in questi inventari di palazzo, ci permettono di intravedere, anche se indirettamente, la Lacedemone dell’età del bronzo: è la più antica testimonianza scritta su Sparta mai venuta alla luce. Bibliografia
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Si parla dei nostri sherdan! ;)

Un geroglifico conservato al Cairo racconta che i guerrieri Sherden o Shardana avevano un elmo cornuto e quelle due corna rendevano il loro copri-testa appariscente. Un elmo che nell’insieme conferiva a chi lo indossava di assumere sembianze spaventevoli, come quella di apparire alto e di intimorire l’avversario dinnanzi a una esigenza: quella di combattere e soprattutto di uccidere.

Sappiamo che i guerrieri Shardana erano formidabili. Lo erano in battaglia, in terra e forse anche in mare. Anche per questo motivo vennero battezzati come “i pirati del mare” e divennero mercenari: del principe di Biblos, il famosissimo Rib – Adi ad esempio, e nella battaglia di Kadesh si distinsero come fedelissimi servitori del faraone Ramesse II.

Sono questi i racconti della tradizione leggendaria che si accostano a anche tantissimi “scoop” narrati con dovizia di particolari, in modo agile ed efficace, da studiosi come Cavillier, Gordon Childe, Grimal, Gardiner, Melis, Veren ed altri ancora.

Risale al 1995 una svolta epocale su questo genere di studi. Sulla storia Shardana infatti, il Corriere della Sera, l’11 dicembre 1997, divulgò la notizia sulla scoperta di alcune cittadelle fortificate nei pressi di Haifa.

Shereden

Guerrieri Shardan

Uno scavo archeologico (del 1995 appunto) rivelò la penetrazione di un popolo misterioso, abilissimo nell’arte della guerra, nell’uso delle armi da taglio.

Emersero proprio loro. Si trattava dei “popoli del mare” che servirono anche i faraoni e, tra questi “popoli del mare” che si tabilirono nei pressi di Haifa, c’erano anche gli antichi Sardi, i costruttori dei nuraghi. La notizia divenne qualcosa di incredibile e al tempo stesso una certezza: i guerrieri giunti dalla Sardegna edificarono torri di pietra nella terra d’Israele.

Lorenzo Cremonesi ad esempio, giornalista del Corriere, in tal senso asserì: “Un sito scoperto e valorizzato ad Haifa, grazie alla collaborazione di Giovanni Ugas, docente di archeologia all’Universita’ di Cagliari e Adam Zertal, suo collega a quella di Haifa“, ha consentito di fare una scoperta eccezionale.

I due archeologi, seguendo strade diverse, scoprirono di essere giunti alle stesse conclusioni e cioè che “gli antichi sardi sono, a tutti gli effetti, i popoli del mare o meglio i Shardana, guerrieri citati con rispetto dai geroglifici egiziani del periodo faraonico di cui si sa tuttora molto poco” aggiunse Zertal.

Nei mesi seguenti lo stesso archeologo parlò di “rivoluzione copernicana della cultura nuragica“. Ed il suo collega, professor Ugas, definì gli interventi del popolo sardo-Shardana nella terra d’Israele, “un fenomeno estremamente atipico per quel periodo, destinato a rafforzare l’ipotesi delle origini antichissime e autoctone della civilizzazione sarda“.

Emerse quindi che gli architetti dei nuraghi non avrebbero copiato da nessuno la tecnica costruttiva delle loro torri. E se questa notizia venisse confermata, la cultura sarda si sarebbe sviluppata ed evoluta in modo indipendente in Sardegna, “a partire dal neolitico e dall’età del rame, nel 6.000 a. C., per poi espandersi verso le coste orientali del Mediterraneo“.
Antichissimo reperto da Cipro, un guerriero Shardan?

Antichissimo reperto da Cipro, un guerriero Shardan?

Luoghi come la Sicilia, Creta, tutto il Peloponneso, ed anche Micene e in Anatolia, sono ricchi di elementi importati dal popolo Sardo.

Dai Sardi che quindi navigavano, importavano e scambiavano materie prime, e non avevano certo “timore del mare” come una certa cultura archeologica ha sostenuto in passato.

Secondo professor Ugas, in Israele gli Shardana arrivarono “via mare e a piedi dalla Turchia“. Ad Haifa si fermarono a lungo lasciando tracce del loro passaggio: è da queste parti che troviamo uno dei siti più significativi della cultura materiale tipica dei guerrieri giunti dalla Sardegna. Gli stessi che decisero di insediarsi a pochi chilometri dalla costa, accompagnati dalla fama immortale di esser divenuti abili e valorosi combattenti.

Gli egiziani temevano e al tempo stesso rispettavano con una certa ammirazione questi guerrieri. Non a caso immagini e citazioni delle loro eroiche imprese compaiono nei geroglifici.

I faraoni ci hanno tramandato una storia, perché impiegavano i guerrieri giunti dalla Sardegna come guardie del corpo, ci raccontarono che “erano bravissimi nel costruire cittadelle fortificate“, afferma Zertal.

Sappiamo che in quello stesso periodo si insediano per circa 60 anni in terra di Cana. Mentre a El-Ahwat non più di un migliaio di guerrieri soggiornarono a lungo, per costruire una cittadella difficile da assediare. Parte della storia e dell’identità della Sardegna riposa anche in quei terreni. Risale al periodo biblico dei Giudici e della storia di Mosè, allorquando gli ebrei scapparono via dall’Egitto.

Infine, dei guerrieri Shardana, venne lesa la reputazione: c’è chi li definì pirati e quando alcuni di loro passarono al nemico per allearsi alla coalizione anti-egiziana che sconfisse Ramesse III, sui combattenti giunti dalla Sardegna, calò il sipario. Scese infatti un lungo e assordante silenzio. Ed oggi più che mai, la loro storia, torna d’attualità con nuove e luminose chiavi di lettura.

Marcello Polastri
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Gli ittiti

Tre furono le ragioni della potenza militare e dell’espansione territoriale degli Ittiti:

-l’uso di carri da guerra leggeri e veloci
-un particolare procedimento di lavorazione del ferro
-un generale e dei comandanti forti e risoluti

I carri usati dagli Ittiti erano carri da guerra leggeri e veloci. Essi erano trainati dai cavalli che gli Ittiti erano riusciti ad addomesticare.

I carri potevano essere manovrati facilmente grazie all’uso di ruote a raggi, più leggere rispetto alle ruote piene utilizzate dagli altri popoli.

Con i loro carri, che potevano ospitare tre persone, l’auriga, lo scudiero ed il lanciere, gli Ittiti si gettavano sulla fanteria nemica, scompaginandone lo schieramento.

Gli Ittiti usavano un particolare procedimento di lavorazione del ferro che consisteva nel riscaldare, martellare e successivamente immergere in acqua il metallo.

In questo modo essi ottenevano armi molto leggere e soprattutto molto più resistenti rispetto a quelle in bronzo usate dagli altri popoli.
I soli comandanti continuavano a preferire il bronzo nelle loro armi ed armature.

Il generale Hattusil era il quarto ed ultimo figlio di Mursili II. Nominato gran generale da suo fratello Muwatalli, re guerriero degli ittiti, fu il comandante supremo dello sconfinato esercito ittita.

Durante la battaglia di Kadesh, il gran generale avrà sotto il suo comando ben 40000 uomini e 3700 carri da guerra, 17 provincie coalizzate, ognuna retta da un principe e comandata da un generale.

LA FESTA DI PRIMAVERA E SANT’EFISIO

All’epoca in cui la nostra storia è raccontata, così come per molti secoli a venire, il tempo veniva scandito in modo assai differente rispetto a come facciamo oggi. La luna, il sole, gli astri ed i loro movimenti nel cielo erano il riferimento principale per poter calcolare il tempo, assieme alle grandi occasioni del mondo naturale ed agropastorale. E’ per questo che alcuni periodi ed alcune giornate particolari, come i solstizi e gli equinozi ad esempio, rappresentavano punti fermi nella società del tempo, e venivano celebrati come delle feste.
La festa di primavera per i popoli pagani di tutta Europa e del Mediterraneo cadeva tra la fine di aprile e gli inizi di maggio, ed era una festa importantissima. Per le tribù celtiche rappresentava il passaggio dalla metà oscura dell’anno alla metà luminosa, veniva chiamata Beltane e veniva festeggiata soprattutto come festa della fertilità: dei grandi fuochi venivano accesi nei villaggi per protezione verso le bestie selvatiche, e molta gente danzava nuda intorno ad essi per ottenere salute e fertilità. Numerosi erano i figli concepiti in questo periodo anche perché sarebbero nati la primavera successiva ed avrebbero avuto buone possibilità di sopravvivere ai freddi e le carestie invernali. Il giorno seguente, il primo di maggio, la festa si spostava nelle piazze dei villaggi ed i pali venivano portati in processione per assicurare la fertilità della terra, successivamente venivano piantati e si ballava ancora attorno ai pali, mentre migliaia di petali di rose venivano gettati qua e la in segno di festa e celebrazione della primavera. Questa tradizione, praticata anche in Sardegna, riplasmata e modernizzata, ancora esiste sull’isola: tante sono le analogie infatti con la festa di S.Efisio, che si svolge a Cagliari ed è considerata la festa più importante della Sardegna. Questa festa, come ipotizzano studiosi, ha origini molto più antiche rispetto a quanto si crede, (tant’è che i documenti relativi alla prima festa in epoca spagnola nel 1656, dicono chiaramente che in quell’anno la festa venne ingrandita, non costituita per la prima volta) e probabilmente è il residuo ancestrale di una festa pagana dedicata alla primavera.

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festa-di-primavera

SARDAN, I 7 Re

L’età dell’Oro si era conclusa, lasciandosi dietro morte e distruzione.
In pochi erano riusciti a fuggire dal continente antico, e pochi erano i tesori di questa terra che avevano portato con se. I semidei avevano attraversato l’oceano, passato le colonne degli Eraclidi, e si erano divisi: ben otto si erano fermati nell’isola di Sardan, portando con se la Pintadera, uno degli artefatti.
I secoli erano passati velocemente, l’età del Rame era trascorsa, ed era arrivata quella del Bronzo. Nuovi eroi si erano distinti ed avevano segnato la storia di un popolo, quello sherdan, ormai conosciuto e temuto anche dai grandi imperi d’oriente.
Le grandi battaglie della storia sarebbero state combattute e vinte da chi avrebbe controllato il potere: il potere dei guerrieri, il potere degli artefatti, il potere degli dei.
Un principe con un grande peso sulle spalle, due guerrieri uniti da un forte amore ma divisi da una distanza grande quanto il mare; un generale ed un faraone, due uomini giusti, uno contro l’altro, protagonisti della storia. Questi e tanti altri i personaggi di un’epopea ambientata in un periodo misterioso ed a tratti mitico.

17recoverisbn